Non dimenticatevi il precedente articolo: Appunti sulla degustazione.
È propedeutico per capire i punteggi e come si svolge l’analisi sensoriale di un vino. Se non siete già avvezzi ai concetti che guidano una degustazione valutativa, è meglio leggerlo.

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Le basi minime sono fondamentali.

Sono un sostenitore dei vini in TetraPak. Non perché mi piacciano i vini “al prezzo del latte” o perché ritengo corretto far passare il messaggio che ingurgitare un litro al giorno di alcool a 11 gradi sia sano, ma perché ritengo che sia fondamentale fare esperienza di quali vini vengono maggiormente bevuti dagli italiani.

E per mantenere i piedi per terra, degustando almeno una volta all’anno vini di ogni tipo e di ogni fascia, per mantenere la mente elastica: i 60, i 70, gli 80 e, se capita, un bel 90. Se si beve sempre la stessa roba o sempre la stessa qualità di prodotti, si finisce per perdere la capacità di analizzare oggettivamente il vino, si perde l’elasticità mentale e lo spirito “all’erta” di chi non prende sottogamba la degustazione. Si finisce per recitare, proibitissimo dall’etica di un degustatore serio, i profumi “sentiti” in base ai vitigni, alla lavorazione, alla fama del prodotto… invece che perché li si è sentiti davvero. E allora anche grandi esperti che “Beh, dai, qui si sente proprio il 30% di Pinot Nero col 70% di Chardonnay” arrivano a confondere un Tavernello con un Borgogna base (o con un Bordeaux base o con chissà quale altro vino base), attribuendogli profumi e caratteristiche gusto-olfattive che non ha nemmeno lontanamente.

Ve lo assicuro, io ho bevuto tre dei Bordeaux base-base più tristi del mondo, dei rossi e un bianco a 5,99 euro trovati tra Carrefour e Iper (75 punti, 72 se pesto duro contestualizzandoli nella grandezza di Bordeaux), e nessuno se analizza seriamente ciò che beve può paragonarli a un Sancrispino o al Tavernello. È meccanicamente anche solo un fatto di tannini, di materia estrattiva! Serve la lingua amputata o l’abitudine a sparar cazzate senza degustare più seriamente, per cascare nel tranello. Il contesto di “vini di qualità” per quanto possa portare a dare qualche punto extra sulla fiducia per sciocca suggestione, non giustifica che un vino da 64-68 punti diventi un 78-80. Siamo su altri pianeti, seriamente. Già quei pochi “sufficiente” che diventano “buono” nel gusto-olfattivo fanno un effetto incredibile sulla qualità del vino, tanto che ci sono enormi differenze tra un 68 e un 72 se i punti sono giocati solo su intensità e qualità (la differenza tra un vino che sa di grezzo annacquato e un altro che è elegante e saporito). Figuratevi tra un 68 e un 78. Giusto l’aver dimenticato cos’è la fascia del 60 e pensare che il Tavernello sia, tipo, un vino rancido può portare a supervalutare la “banale insapore normalità” rendendola a tutti i costi un “vino di discreta qualità”.

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Per gli espertoni.

Da notare che lo scherzo del Tavernello (o equivalente) pare sia molto comune nei corsi per Sommelier e che raramente gli studenti ci caschino, descrivendo un vinello scarso-scarso o addirittura rispondendo, alla richiesta di riconoscerlo, “Ma che è ‘sta roba?” – “Bravo, hai indovinato”. Semplicemente i vini così non hanno alcun profumo o sapore che li ricolleghi ai molti vini provati, rendendoli quindi un qualcosa che pare vino, ma non è nessun vino o vitigno noto. È una cosa a sé. Non puoi ingannare chi lo analizza senza preconcetti, pronto a scoprire di tutto nel bicchiere, da un Sangiovese da 4 euro fino a un Amarone da 50. E scopre che dentro il calice c’è un alieno indistinguibile e di scarsissima appetibilità. Ci cascano invece i critici e gli espertoni che non sanno davvero cosa siano i vini “da pochi euro” e hanno dimenticato la serietà “obbligatoria sempre e comunque” nell’analisi.

E infatti cosa ci hanno detto al corso? Bevete di tutto, non bevete solo i vini “buoni”, anche se avete i soldi per farlo. Bevete la bottiglia da 2,25 euro che non avete mai provato. Bevete il vino del contadino anche se è torbido e puzza, giusto per capire cosa significa. Rinunciate al vitigno che preferite e bevete quello introvabile fuori da quella regione che state visitando: se siete in Puglia o in Campania e ci sono tanti vini che non escono mai dai loro confini, dateci dentro con quelli e non con il Barolo e l’Amarone che si trovano pure nell’enoteca sotto casa. E bevete i vini in Tetrapak più famosi, come Ronco, Castellino o Tavernello, almeno una volta all’anno. Per tenersi allenati.

Mi aspettavo che tutti seguissero il consiglio del TetraPak. Quando ho interrogato alcuni miei colleghi di corso, nessuno di loro lo aveva fatto, anzi, trovavano bizzarro che avessi fatto una… orizzontale di vini in TetraPak sotto i 2 euro. Mi sono sentito orgoglioso come un Sommelier per barboni che organizza degustazioni sotto i ponti in cui il vino di pregio che corona la serata è un lambruschino da 3 euro.

Sloth_gooniesLA SO LUNGA E SONO ENO-SNOB:
I vini nel TetraPak sono vinacci ed è offensivo per la storia e la pratica enologica! Gli unici vini buoni sono quelli nelle bottiglie di vetro con i tappi di sughero. Solo con del sughero eccellente può far evolvere un grande vino rendendolo grandissimo a distanza di anni!

SOSPIRO DI RASSEGNAZIONE:
Il TetraPak, sfatiamo un mito idiota, non è un cattivo modo per conservare il vino: è buono come il vetro (ma è un mezzo casino per gli inceneritori, mentre il vetro è fantastico da riciclare), solo che non permette il tappo di sughero. Peccato che il tappo di sughero non serva a nulla sui vini giovani da bere senza aspettare anni per farli maturare, perché non hanno il potenziale per maturare in modo significativo (magari migliorano di una frazioncina e subito dopo iniziano la discesa della vecchiaia). All’estero, in Francia per esempio (non so, presente il loro “tavernello” J. P. Chenet?), i vini giovani vengono imbottigliate spesso con tappi a vite, così si evita anche la fatica di stappare gli insulsi tappi di silicone (talvolta troppo “giusti” e che fan fare fatiche bestiali).
Risparmiare il sughero è utile e necessario. Utile perché un vino giovane e beverino dal tappo otterrà solo il rischio di guasto e “sentore di tappo” e necessario perché l’incremento continuo di domanda sta facendo finire le scorte mondiali di sughero. Già ora i sugheri impiegati sono sempre meno pregiati, sempre meno stagionati. Un vino giovane con un tappo di sughero eccellente non ottiene niente. Il tappo a vite (o perfino il TetraPak) non sono questioni di mancanza di eleganza: sono questioni di civiltà, di rispetto e di responsabilità nei confronti di chi usa il sughero per tanti altri scopi diversi dal tappare vinelli da 3-4 euro.
Non è figo snobbare il tappo a vite, è un bieco provincialismo che permette di inquadrare all’istante chi millanta d’essere un esperto da chi lo è. Peccato che in Italia molti Disciplinari (le inviolabili leggi che determinano ogni dettaglio minimo di un dato vino IGP, DOC o DOCG, fino alla forma della bottiglia e del tappo) impediscano il tappo a vite. Ma questo non ferma alcuni produttori disposti a perdere l’etichetta col nome della DOCG (causa violazione del disciplinare) per una questione di principio, divenendo IGP o perfino “Vino d’Italia” (ex “Vino da Tavola”, la categoria più bassa). E dove la mentalità è più elastica, come in Francia, ci sono produttori come Domaine Laroche in Chablis che fin dal 2001 usano il tappo a vite, ormai anche sui Grand Cru (il top dei loro vini), certi che questo non rovinerà affatto l’invecchiamento.
Infatti ormai si sospetta che il tappo a vite possa permettere anche invecchiamenti di 10 e più anni. Come dire che tutto l’ossigeno necessario è già sotto il tappo, non serve che filtri rischiosamente dal sughero. Forse il tappo a vite non è solo per i vini giovani e anche altri vini più importanti potrebbero rinunciare ai pregi (compensati da grossi rischi!) del sughero. Qui un esperimento sui 125 mesi. Per cui, forse, la stupidità di certi disciplinari non danneggerà il vino: sarà tutto col tappo a vite prima che il sughero divenga troppo poco per soddisfare le richieste.
E tu non sei un ENO-SNOB, sei un Enosfigato ignorante. ^_^

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L’orizzontale di vini nel TetraPak.

Nota: orizzontale indica una degustazione vini dello stesso anno e dello stesso tipo, di produttori diversi (anche per valutare a pari condizione climatiche chi è andato meglio); verticale indica una degustazione dello stesso vino dello stesso produttore da annate diverse (per valutare l’evoluzione nel tempo di un vino, anche in previsione di investimenti).

Piccola premessa: come è possibile che questi vini siano così strani, privi di sapore ecc… pur senza, spesso, né marciumi né odori davvero sgradevoli? Quale raffinata scienza li ha resi insipidi senza guastarli? Sicuramente le rese, 300-500 quintali per ettaro (i vini decenti, anche da pochi euro, raramente superano i 100), ma anche le tecniche di cantina influiscono. Molti vini superlowcost nel TetraPak sono prodotti per termovinificazione. Invece di far fermentare il mosto con lieviti selezionati a circa 25-30 gradi, buttano tutto dentro un contenitore che tira la temperatura fino a 80-90 gradi (poi scende verso i 60) e fa macerare l’uva, strizzando fuori ogni sostanza colorante dalle bucce (fondamentale per i rossi) e stroncando gran parte delle (poche) molecole aromatiche presenti. In poche ore si fa il lavoro di una settimana.

Ricordiamo che non è solo questione di tempo. La vinificazione non è facile, richiede buone tecniche di cantina, perché più il mosto fermenta, ovvero più i lieviti divorano zucchero e producono alcool e anidride carbonica come scarti, più si libera calore che aumenta la temperatura e che va contrastato dinamicamente. Facile cuocere il vino a 90 gradi e poi stufarlo a 60, più difficile tenerlo entro i 30 perché se scappa un po’ sui 32-34 succede un disastro (e viene il mitico vino del contadino con le puzzette).

Attenzione: Tavernello non è termovinificato/pastorizzato, è solo microfiltrato (tecnica che pure lei purifica il vino a scapito del sapore, perché toglie sostanze estrattive). Quelli della Caviro (gli Evil Overlord del Tavernello) ci tengono a ricordarlo e si incazzano se leggono che loro pastorizzano. Ovvio che se lo scrivo io non mi ribattono niente, io non sono un pezzo grosso della critica, ma ci tengo a dire come stanno le cose correttamente.

grande_orizzontale_vino_cartoneI protagonisti della grande orizzontale!

Da sinistra a destra: Valis (0,85 euro), Acinello (1,09 euro), Conad (1,39 euro), Ronco San Crispino (1,35 euro), Tavernello (1,68 euro). Spesa totale: 6,36 euro per cinque litri di vino. C’è da passare un bel fine settimana con dieci euro, non è vero? Il dubbio e se ci si sveglierà domenica mattina con in bocca sapori di letame, rigurgiti acidi in gola e lo stomaco in subbuglio con cacarella a rubinetto, come succede con certi vini in bottiglia a prezzo superbasso o tanti vini del contadino.

La degustazione è avvenuta in sequenza per poterli confrontare tra loro, con più passaggi per confermare il parere ed effettuare confronti ulteriori nel dubbio (non ero abituato alla tipicità dei vini in TetraPak e non volevo penalizzare troppo certe “normalità”). Partivo leggermente prevenuto a favore del Tavernello, quello con la fama di decenza maggiore. Ho sempre rispettato con precisione, termometro alla mano, le temperature consigliate sui TetraPak. Quando avevo il dubbio di poterli migliorare con un paio di gradi in meno per tirare su le durezze, ho rifatto il controllo per “ammorbidire” un eventuale giudizio incerto verso il basso. Questo anche perché a quanto ho capito non è strano bere i rossi in TetraPak a temperature da frigo per renderli più beverini. Pratica che trovo eccessiva perché ammazza i profumi del vitigno, nei rari casi in cui siano presenti.

— Valis rosso (0,85 euro)

Il più economico del gruppo, col cartone più scarso, l’autentico brik da latte a lunga conservazione e un prezzo allineato al tema. Il meno alcolico di tutti, solo 10% in volume. Fa venire voglia fin dall’apertura tagliando con le forbici un triangolo di TetraPak. YUM!

“Valis” è il marchio super-economico con cui Iper vende i propri prodotti con il confezionamento più dozzinale e meno invitando, riservando “Iper” a quelli di basso costo e qualità un po’ superiore. Iper ha anche un marchio dedicato ai vini normali, “Grandi Vigne”, che non è niente male, ha una discreta varietà e prezzi non bassissimi (ne parleremo ancora in futuro).

Alla vista è limpido, colore rubino con riflessi violacei e poco consistente. Il colore è bello, la luminosità discreta. Ha l’aspetto e la consistenza debolina di un vino giovane. Non posso criticare nulla.
Al naso cominciano a sentirsi le anomalie. Il profumo si sente a sufficienza (abbastanza intenso risicato), ma a livello qualitativo (abbastanza fine per un pelo) e di varietà (un poco complesso che in un vino diverso bollerei come carente) lascia a desiderare: un vinoso generico con leggerissimi sentori sulfurei in cui non si distingue alcuna sensazione fruttata o floreale. L’impressione è che sia un vino in cui l’uva non sia stata coinvolta nel progetto. Non c’è però qualcosa di davvero sgradevole. Penalizzo tutto dando la sufficienza appena. Ero tentato di penalizzare ulteriormente la complessità olfattiva, davvero ai minimi storici, ma l’ho considerata piuttosto tipica di questi vini e, comunque, non essendoci sgradevolezze reali non ritengo sia il caso di infierire.

In bocca è secco, abbastanza caldo, poco morbido, poco fresco, abbastanza tannico e poco sapido. Si muove male in bocca e non stimola per niente la salivazione. La struttura è debole. Nella sua povertà complessiva posso perfino dire che, poco morbido per poco duro, ha perfino un suo ironico equilibrio minimo. Il sapore un po’ c’è, ma sembra annacquato. La persistenza è scarsa, ma lo considero come una tipicità accettabile. Il problema è che nel complesso è sgraziato anche rispetto agli altri vini provati che hanno superato i 60 punti. Non è davvero sgradevole, è solo inutile perfino nel suo ambito di riferimento.

Sufficienza a tutto, ma non alla qualità: poco fine e un bel insufficiente.
Totale (a fatica): 60

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Troppo buon gusto per sfondarsi con il Valis?

— Acinello, vino rosso (1,05 euro)

Delizia trovata presso IN’s il cui nome mi faceva sperare in un bel vinello acidello. Le mie speranze sono state deluse: si può bere. Speravo di rivivere l’esperienza di quel TetraPak di vino rosso Carrefour bevuto due estati fa, acidello e temo guasto di suo (non per volontà produttiva), che mi fece allontanare completamente dal vino per quasi un anno.
Limpido, rosso rubino e poco consistente. Un bel colore.

Problemi simili a quelli del vino precedente, ma qui mi sento di poter dare il “poco complesso” anche senza dover scomodare la tipicità: dietro il vinoso (questa volta senza nemmeno i leggerissimi accenni sulfurei), percepisco un tenue marasca. Non basta ad alzare il punteggio sopra la sufficienza, ma è una bella novità che da sperare bene per il sapore: dell’uva pare aver partecipato alla realizzazione di questo vino! YUM!

In bocca è secco, abbastanza caldo, abbastanza morbido, abbastanza fresco, poco tannico, poco sapido. Già notevoli miglioramenti rispetto al precedente: scorre meglio in bocca, la salivazione viene stimolata quanto basta e i tannini sono deboli. Sembra un vinello facile, bevibile da tutti. Sfortunatamente la poca presenza di sali minerali rende un po’ sciapo il sapore, come nel caso precedente, e anche la persistenza come prima è molto scarsa. Peccato, se tornava in bocca un po’ di marasca magari addolcita dal calore quasi quasi lo premiavo! Tutto sufficiente.

Non è sgradevole, ha perfino una sua bevibilità non avendo né tannini né acidità sgradevole. Scorre meglio in bocca del Valis, anche se entrambi risultano insulsi.
Totale: 63

— Conad, vino rosso (1,39 euro)

Non pensavo di valutarlo, ma nella mia ricerca di un Tavernello (Iper, IN’s ed LD non l’avevano) mi sono imbattuto in questo prodotto accanto al celebre Re dei Vini in Tetrapak. Presi entrambi: come farsi sfuggire questa ghiotta occasione? YUM!
Limpido, rosso rubino e poco consistente. Bello.

Al naso si presenta subito con delle puzzette marcate: vinoso con sentori sulfurei di fiammifero appena spento. Puzzette, insomma, che mi fanno pensare a un guasto legato al calore durante il trasporto. Non è vomitevole, ma non posso nemmeno lasciar correre: qualità “poco fine” e insufficienza. Probabilmente il normale vino Conad non è così, ma a me è capitato ridotto in questo stato e, immagino, sarà capitato anche a molti altri. Se vi capita di berlo, ditemi se sentite un sentore di fiammifero spento che aumenta all’aumentare della temperatura del vino (in particolare arrivato a 20 gradi). Se non c’è, il vostro vino dovrebbe essere ancora in buon stato.

Il leggero guasto è confermato in bocca subito, sotto forma di una mancanza di acidità: poco fresco. Per gli altri valori è come il vino precedente. Anche il sapore lascia a desiderare e ricorda, al gusto, le sensazioni percepito con l’olfatto. Sgradevole. Insufficienza alla qualità e all’armonia.

Totale: 54, INSUFFICIENTE

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Sempre a fare gli esagerati…

— Ronco San Crispino rosso (1,35 euro)

Uno dei vini in TetraPak più famosi, con una fastidiosa pubblicità in cui parlano di uva buona da cui si fa vino buono. A parte la disonestà del dire che sia uva buona, visto che il buono in ambito enologico non copre qualsiasi uva “non guasta” e riguarda anche la resa per ettaro (in Puglia se no sono pieni di uva buona, a 300-500 quintali per ettaro, di quella che per farci il vino è inadatta quanto l’uva da tavola). Sorvoliamo sul vino buono, visto che “buono” anche qui ha un significato ed indica vini che possano raggiungere gli 80 punti o comunque non navigare nettamente sotto.

Fortunatamente per loro la pubblicità non richiede che si contestualizzi ciò che si dice, per cui “uva buona” significa “non è rovinata” e “vino buono” significa “non fa storcere la bocca per lo schifo”. Quando dicono “il nostro vino” viene da gridargli contro “e allora bevetevelo voi e non rompeteci i coglioni”.
Limpido, rosso rubino e abbastanza consistente. Archetti ampi, non troppo rapidi. Bello.

Al naso è abbastanza intenso e non ha nessun sentore sgradevole, neppure minimo. La complessità lascia come sempre a desiderare, ma voglio lodare che dietro il solito sentore vinoso si nasconde un leggero fruttato di prugna. Non posso dare più della sufficienza a nulla del profumo, ma tra quel leggero fruttato e la consistenza superiore ai precedenti lascia presagire un prodotto che stupirà positivamente in bocca. O forse no.

In bocca è secco, abbastanza caldo, abbastanza morbido, abbastanza fresco, poco tannico, abbastanza sapido. Finalmente un vino che non sia un po’ insipido, in cui navighino sali minerali a sufficienza da esaltare il poco gusto presente. In bocca scorre anche meglio, ha una sua solidità. Mi sento di premiare la struttura, a cavallo tra di corpo e debole. Il sapore è sufficientemente gradevole e la persistenza restituisce gli aromi per circa 4 secondi. Mi sento di premiarla. Non ha niente di sgradevole e, onestamente, considerando le rese altissime impiegate mi sento di dire che è un buon prodotto. Questo non lo rende buono in generale ed è ancora lontano dalla decenza dei vini da 70-74 punti, ma delle lodi per la sua tipicità di “vinello in TetraPak sotto i due euro” le merita.

Totale: 66

— Tavernello, Vino Rosso d’Italia (1,68 euro)

La confezione riporta il nuovo nome legale della sua tipologia “vino rosso d’Italia” e un orgoglioso “N°1 in Italia” che suona un po’ come il complimento “Licia Troisi è parecchio sopra la media degli autori fantasy italiani”. Sono fiducioso che possa pareggiare o sconfiggere il Ronco, nonostante mi abbia stupito con la sua qualità. Tavernello, che costa pure 33 centesimi in più, sarà all’altezza del suo più acerrimo rivale?
Limpido, rosso rubino e abbastanza consistente. Archetti ampi, non troppo rapidi. Bello.

Al naso è molto simile al Ronco, ma si aggiunge un sentore tra lo speziato e il selvatico che ho difficoltà a decifrare, forse legato a una maggiore acidità. Ho il sospetto che questo nota NON sia normale e avendolo comprato allo stesso Conad dove ho preso quel vino leggermente guasto, possa anche questo Tavernello aver subito un qualche incidente di trasporto (troppo calore?) che lo abbia danneggiato. Vedremo in bocca.

Proprio come il Ronco si nota anche nel Tavernello una maggiore struttura e una sapidità dignitosa. Sfortunatamente la persistenza non riporta aromi gradevoli degni di nota. Non è sgradevole, si fa bere bene da fresco, ma sono convinto che ci sia un leggero guasto che ha aggiunto quella nota selvatica e che ha azzoppato l’aspetto retro-olfattivo. Da riprovare in futuro, sperando di poter alzare il voto di 2 o 3 punticini.

Totale: 64

Tra un assaggio e l’altro alla fine ho bevuto mezzo litro di vini in TetraPak. Non ho avuto alcun effetto collaterale e direi che sono commestibili. Però mi dispiaceva non aver trovato un TetraPak economico davvero convincente, non semplicemente due compromessi come Ronco e Tavernello.
Due mesi e mezzo dopo mi sono imbattuto in un vino nuovo sugli scaffali dell’Iper: “Tramontino”, annunciato come il migliore per rapporto qualità-prezzo, in culo al Valis e al Ronco che gli stavano accanto. Sono parole grosse per il nuovo vinello giunto in città: saprà farsi valere?

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Ammirate il colore

— Tramontino, vino rosso (1,29 euro)

Ciò che stupisce subito è il colore, un bellissimo rosso rubino luminoso, con riflessi violacei all’inizio dell’unghia e un’unghia un po’ scarica, ma non opaca. La foto non rende giustizia alla luminosità del prodotto. Senza dubbio è più bello da vedere degli altri vini in brik e appare come un vino giovane e sano (seppure, ci dice l’unghia, povero di materia estrattiva). Un aspetto altrettanto bello lo aveva il Sangiovese di Galassi, di cui parlerò in fuuro. Sono in dubbio tra premiare il colore oppure l’aspetto. Il colore dell’unghia non è perfetto e più che altro è la luminosità e l’aspetto generale a piacermi. Premio con l’eccellenza il parametro che vale meno punti, l’aspetto.

Al naso stupisce ancora di più, per la sua tipologia. Il profumo è di buona intensità, da vino SERIO, ed è il più forte di tutti. Qui l’abbastanza intenso ci sta in pieno, non è più risicato come le altre volte. Anche gli aromi sono interessanti: domina un bel fruttato di mirtillo con dietro della ciliegia, una speziatura dolce gradevole che ricorda la vaniglia e il vinoso, profumo dominante negli altri vini, qui è solo una nota di sfondo accettabilissima anche in tanti vini giovani di buona qualità. Rimane comunque poco complesso, per cui mi limito alla sufficienza lì, ma premio con il buono intensità e qualità.

In bocca è secco, abbastanza caldo, abbastanza morbido, poco fresco, poco tannico, abbastanza sapido. Ed ecco la delusione. L’unghia non mentiva ed effettivamente mancava qualcosa: poca acidità che al primo sorso si nota appena, al secondo lascia la bocca asciutta e al terzo la lascia troppo asciutta. Non è gravissimo perché non si tratta di un vino da meditazione, è pensato per mangiarci assieme qualcosa. Volendo si può provare a berlo più fresco, come un bianco, e vedere cosa succeda. È un problema che compromette il voto, che ormai era diretto verso le vette dei vini tra il mediocre e il discreto, ma non è un dramma.

Il sapore comunque non è sgradevole e la persistenza restituisce tutto ciò che aveva di buono per 5 secondi, poi rimane ancora alcuni secondi come piacevoli note di sfondo. È proprio un peccato che azzoppi così la salivazione, tradendo la struttura debole che non va oltre la sufficienza.

Totale: 70

Test ulteriori sul Tramontino.
Ho provato ad accompagnarlo, alla temperatura ufficiale di 16 gradi, con delle acciughe sotto sale. Il sapore deciso, sapido, delle acciughe ha compensato abbondantemente la debolezza del vino, tanto che pareva un vino di normale acidità. Temevo che le acciughe, così forti, avrebbero stroncato del tutto il sapore, ma Tramontino si è comportato bene ed è stato sconfitto senza venire travolto.
Ho poi provato a berlo di nuovo da solo, dopo averlo portato a (temperatura dentro al bicchiere) 9 gradi. La bassa temperatura ha castrato parte dei suoi gradevoli profumi, come è normale accada coi rossi, ma ha anche compensato con efficacia la scarsa acidità: a 8-10 gradi, o perfino un paio di gradi in più al passaggio dei minuti mentre lo si degusta come se fosse un grande vino da meditazione, si comporta bene e la bocca non si secca. Il primo giorno ho bevuto 2/3 del litro, il giorno dopo l’ho finito. Volentieri. Secondo me il 70 c’è e si vede, se proprio non volete nemmeno premiare l’aspetto fa comunque un 69… e rispetto ai 64 e 66 non è una differenza da poco.

Stupito dal prodotto, ho cercato informazioni.
Il produttore è la Casa Vinicola Morando, in zona Asti, e il prodotto sembra nuovo visto che non appare ancora tra i vari vini in brik già venduti. Rassicurante, e coerente con quanto provato al naso col Tramontino, che su tutti i vini in brik riporti questo:

Vinificazione
La fermentazione segue la classica vinificazione in rosso, mettendo il mosto in serbatoi di acciaio inox, dove fermenta a temperatura controllata ed in presenza di lieviti selezionati

Che non sia termovinificato si sente e prima di berlo pareva perfino un vino discreto, un prodotto che come il Sangiovese Galassi si capisce subito che naviga in area 75 punti, peccato la delusione in bocca a livello di acidità che ha abbattuto il voto.

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Se si beve per la salute, una bottiglia dura tre giorni. Sono dieci bottiglie al mese al massimo. Comprarle da cinque o sei euro, variando di volta in volta vitigni e produttori per farsi un po’ di cultura, proprio no?

Ha davvero senso tentare ogni sorta di compromesso produttivo, come la termovinificazione che ammazza ogni vago ricordo del vitigno nel vino (e permette di impiegare anche uve parzialmente guaste, aggredite da muffe), solo per inseguire i volumi, abbattere i costi sul singolo litro e competere a chi fa 10 centesimi in meno?

No e non lo pensa nemmeno la Caviro di Tavernello che, come abbiamo visto, se l’è cavata assieme al collega Ronco meglio di tanti altri. E io avevo scelto vini relativamente sicuri, non atrocità tremende, che pure esistono. Sempre lì a cercare i 10 centesimi in meno. E non ho provato, sempre di Caviro, il Castellino che pare sia un po’ meglio del Tavernello (in grado di competere con il passabile Tramontino?).

Il comparto merceologico del vino si sta rivelando come il più selvaggio per le pratiche del sottocosto. C’è uno sbando evidente, soprattutto nella fascia sotto i 2 euro, dove improvvisamente compaiono produttori e prodotti che non meriterebbero di essere sullo scaffale e che parlano esclusivamente la lingua del prezzo.
[…]
Si chiamano sofisticazione, adulterazione e contraffazione.
Come fa a sostenerlo?
Il nostri enotecnici ogni giorno analizzano oltre ai nostri anche i prodotti dei concorrenti. È un corpus di analisi, 12.923 all’anno, che mettiamo al servizio dei nostri clienti ma anche della business community, di chi ha voglia di capire e di ragionare sui temi della qualità, del valore e del prezzo.
(Sergio Dagnino, direttore generale Caviro dal 2001, su Mark Up)

Chi domina infatti gli scaffali e le vendite, nonostante i metri dedicati siano MOLTO inferiori alle quote di mercato possedute, con ovvio effetto di minore visibilità e minore effetto sulle vendite? Tavernello: dal 1983 al 2006 è passato da 6 a 95 milioni di litri di Tavernello e complessivamente il gruppo Caviro ha venduto 194 milioni di litri nel 2012 (+18% all’estero e unico in crescita sia in valore che in volume nella GDO in Italia). Perché si può volere un vino appena-appena bevibile, ma non uno con dei guasti: competere sulla merda adulterata venduta a prezzo infimo danneggia tutti, inclusi i “virtuosi”, e alla fine non premia davvero chi la produce.

Non basta però l’origine: molte Doc e Igt non riescono a sottrarsi alla stagnazione, soprattutto nella fascia media di prezzo.
«Abbiamo contato fino a 1.700 referenze sugli scaffali, con rotazioni di vendita anche inferiori a una bottiglia a settimana. Se vogliamo salvaguardare la domanda in Italia, bisogna migliorare i rapporti di filiera: la gdo deve riuscire a programmare assieme ai produttori, come avviene sui mercati esteri, uscendo dalla logica del divide et impera».
E per far questo, secondo Dagnino, anche i produttori devono uscire dalla logica dell’improvvisazione.
«Le politiche commerciali non possono durare lo spazio di una stagione. Balzi dei prezzi come quelli registrati quest’anno rischiano di penalizzare la competitività sui mercati esteri, ma cosa succederà se la prossima vendemmia tornerà ad essere abbondante? Il vino italiano deve dimostrare più capacità di programmazione e di remunerazione della qualità».

Come dice lo spot: “un successo che invita a riflettere”.
Riflettere in senso ironico, che con un po’ di passione e di voglia di bere bene ci si potrebbe comprare una bottiglia di vino fatto bene a 5 euro (quanti ne ho trovati di più che decorosi tra i 3 e i 6 euro? Praticamente tutti, alcuni anche piuttosto buoni) invece di sfondarsi con 3 litri di Tavernello, mentre agli italiani piace sfondarsi col vino cercando solo l’effetto dell’alcool, invece di berlo per il piacere e il sapore. Si mangiano i dolci, anche industriali, perché piace il sapore, non per sfondarsi di zuccheri al solo scopo di ingrassare. Non mi pare follia pensare al vino allo stesso modo.

Riflettere seriamente, senza ironia. Tavernello fa un vino igienicamente corretto, senza contraffazioni, superiore a tanta concorrenza e cercando di difendere la remunerazione dei soci viticoltori a costo di dover fare uno dei prezzi (o forse il prezzo) più alto sul mercato dei “vini d’Italia” in TetraPak (un tempo detti “vini da tavola”, ma il legislatore ha modificata il nome in tempi recenti). E viene ripagata da un continuo successo, in crescita. E con quel successo cerca di diversificare, di espandersi anche verso la qualità. Di investire davvero, come quando uscirono voci a fine 2012 di un interessamento all’acquisto della storica La Versa dell’Oltrepò Pavese, azienda di cui ho apprezzato il Moscato Spumante dai leggeri sentori di fiori d’arancio a 4 euro.

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Diversificare, verso la qualità.

Pensiamo all’editoria. Questo concetto della qualità minima, del fare un prodotto igienicamente e qualitativamente sufficiente, in Italia non è passato. Si compete inseguendo le mode, cercando di contenere i prezzi quando possibile, ma il risultato è che si vende sempre meno. Il risultato è che i clienti, appena hanno potuto fare due conti, hanno rinunciato ai libri “fetenti” e comprato quelli sicuri (buone vendite sui libri di cucina, lì qualcosa di utile si trova), come nel mondo del vino hanno rinunciato a tanti prodotti buoni seppur costosi e a quelli pessimi a prezzo infimo, ma hanno continuato a comprare il prodotto “sufficiente” senza guasti a prezzo contenuto (tra 1,68 euro di un Tavernello e gli 0,99 di tanti altri passa parecchia differenza per il consumatore che vuole sfondarsi a litri e litri… eppure sceglie il meno fetente!).

Da decenni l’editoria fa il discorso idiota secondo cui con i libri di merda finanziano i libri buoni. Stronzate. Il contenuto delle librerie dice il contrario. Forse alcuni editori lo fanno, ma ricordiamo che i grande editori ragionano in termini di mode, di quote (tot amiketti, tot autori già noti, tot prime pubblicazioni), di ritorno dell’investimento, di fatturato e di valore azionario che avranno alla fine. Mancano i presupposti per scegliere e coltivare prodotti diversi sfruttando il margine di migliori, sarebbe come avere un Hotel e una Palestra per coprire i passivi della palestra con l’attivo dell’Hotel, impedendo così i miglioramenti e gli investimenti sull’Hotel che un po’ alla volta perderà competitività mentre i concorrenti di modernizzano, migliorano, e lui no. Se si ragiona sul breve periodo come fanno loro regolarmente, coltivare un settore (o i lettori) con la certezza che un giorno farà il botto non è possibile. Serve un modo di ragionare sul medio-lungo periodo, sui 5-10 anni invece che sui 6 mesi, se si vuole coltivare il pubblico. Caviro ragiona così, ha coltivato il pubblico con la decenza minima. Gli editori ragionano come chi fa il vino fetente a 1 euro al litro e spera di venderlo tutto e fare tanti soldi prima che i supermercati smettano di richiederlo.

In più questi editori se anche volessero investire su qualcosa di buono non potrebbero farlo perché NON hanno il Know-How per operare in questi termini e non saprebbero nemmeno come procurarselo (licenzia tutti i suoi editor idioti e poi chi assume?). La Caviro del Tavernello ha uno spessore intellettuale che i gruppi editoriali italiani se lo sognano.


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12 Replies to “Una orizzontale di vini nel TetraPak”

  1. Vi annuncio che nei giorni scorsi ho bevuto due “vini d’Italia” rosati piemontesi comprati da un contadino bergamasco che li dava assieme a un’ampia scelta di (discreti/buoni) salami.
    Uno piacevole, l’altro pessimo. Ne parlerò.
    Sicuramente ci sarà un bis a tema Caviro visto che mi sono procurato quattro vini di discreta fama: Castellino bianco e rosso, considerati a quanto ho letto i migliori vini in TetraPak in Italia (però costano anche più degli altri, io li ho trovati a 1,99 euro), e i Tavernello Frizzante bianco e rosato di cui parla il penultimo link in fondo a questo articolo e che potrebbero essere pure loro dei vinelli piacevoli (prezzo 3,29 euro come il gradevole Maschio Rosé extra Dry).
    D’altronde dedicarsi solo ai rossi non è giusto, ci voleva un po’ di spazio ai bianchi e a un rosato… ma decenti, questa volta! (Forse)

  2. Grazie per gli articoli Duca, sono davvero belli! Dubito che metterò mai in pratica, ma adoro quando mi spiegano per benino cose che no capisco! ^°^
    Curiosità: anche i liquori vengono degustati? Si usano gli stessi criteri dei vini? Quale sarebbe il rosolio migliore da dare alla mia coniglina?

  3. Si degustano liquori, distillati, birre, olio di oliva, acqua minerale, le tantissime varianti di bevande simili al sakè dei diversi paesi dell’estremo oriente, cioccolato ecc…
    Quando abbiamo trattato birre e distillati il relatore ha fatto una descrizione solo a parole, raccontando. Non so se esistano schede ufficiali AIS o un linguaggio accettato, ma se dovessero esistere hanno preferito non parlarcene (hanno detto solo che non potevamo usare la scheda per i vini). Boh.
    Le degustazioni diverse dal vino sono più recenti, come adozione, forse il linguaggio non è stato ancora codificato… o forse preferivano non confonderci, visto che la preparazione “base” è solo sui vini, poi eventualmente uno può affrontare come appassionato o per lavoro ambiti molto diversi.

  4. C’è da passare un bel fine settimana con dieci euro, non è vero? Il dubbio e se ci si sveglierà domenica mattina con in bocca sapori di letame, rigurgiti acidi in gola e lo stomaco in subbuglio con cacarella a rubinetto,e una cosplayer dai capelli rosa addormentata a fianco
    go home Duca, you’re drunk 🙂
    Articolo molto interessante, in effetti uno dei motivi per cui si perculano i sommelier è perchè spesso parlano di un altro mondo.
    La gente normale quando spende 5 euro per un vino ha l’idea di aver speso il giusto e vuole un buon prodotto, molto pochi spendono 20-30 euro a bottiglia e non è nemmeno detto che riescano ad apprezzare quei 3-4 punti di differenza.
    Quindi articolo estremamente apprezzabile sopratutto da quelli come me che di tavernello ci hanno campato per tutta l’università (che credo siano un bel po’ di persone).
    Trovo però impietoso il confronto finale, un pessimo vino può darmi mal di testa e mal di stomaco al mattino dopo, un pessimo libro gli stessi sintomi ma a un costo 20 volte maggiore e con una perdita di tempo infinitamente più ampia.
    Vogliamo il tavernello letterario, o, ancora meglio, una fascia media di romanzi.

  5. La gente normale quando spende 5 euro per un vino ha l’idea di aver speso il giusto e vuole un buon prodotto, molto pochi spendono 20-30 euro a bottiglia e non è nemmeno detto che riescano ad apprezzare quei 3-4 punti di differenza.

    Sì. Più si sale di prezzo più si va anche in fasce in cui si fanno scelte importanti a livello di gusto: spendere 30 euro alla cieca senza avere idee se piacciono i grandi Gewurztraminer o se piace un Barbaresco uscito da poco (e come evitarne i tannini) oppure un Franciacorta con un nome importante, è un po’ buttare soldi alla cieca.
    Un appassionato lo fa anche, per il piacere della scoperta, ma per chi non ha una solida base di altri prodotti in cui inquadrare la scoperta (possibilmente con appunti scritti, perché se no uno si dimentica la massa di vini bevuta), per esempio se è un buon bevitore però solo di un ridottissimo numero di vini (i classici bevitori mono-nebbiolo, mono-bordolese, mono-franciacorta), è difficile che valga la pena farlo.
    Un po’ come essere un lettore abituale di romanzi storici stranieri e dire “Vabbè, proviamo a 20 euro questa novità fantasy italiana… Gli Eroi del Crepuscolo… mah!”
    Con l’aggravante che con 20 euro di vino di norma può non piacere, ma sarà fatto bene, mentre con 20 euro di romanzo spesso è fetente (30-50 punti equivalenti) o a malapena leggibile (60 punti scarsi).

    un pessimo vino può darmi mal di testa e mal di stomaco al mattino dopo, un pessimo libro gli stessi sintomi ma a un costo 20 volte maggiore e con una perdita di tempo infinitamente più ampia.

    Se un lettore mi chiede a chi dare 20 euro, io gli rispondono di usarli per comprare 3-4 bottiglie decenti e di leggere i libri dei grandi editori piratati, perché abbiamo tanti produttori italiani che meritano di riuscire a vendere tutte le loro bottiglie mentre gli editori è raro che si degnino di produrre qualcosa di livello equivalente.

  6. Chiedo scusa per il necroposting, ma sono curioso di sapere se il Duca darà mai opinioni sulle birre.

  7. Penso di no. A parte qualche saltuaria indicazione qua e là, come ho fatto quando ho indicato che la birra al miele (Barbar?) o quell’altra birra (era la Asahi?) mi sono piaciute, dubito farò mai articoli specifici/tecnici. Non ho esperienza.
    Sul tè, invece, già da mesi voglio scrivere. Con oltre 150 tè schedati per motivi di studio e promemoria, libri di degustazione letti, pure libri di storia del tè letti ecc. con una full immersione quasi senza alcolici da dicembre a oggi (senza contare che non è che non sapessi niente prima, il tè mi interessava da anni!), mi sento preparato per partire. 🙂

  8. Ah, ok. Più che altro ero curioso di sapere la tua opinione in merito alle birre aromatizzate alla frutta.
    Da alcuni mesi la Moretti (quella del “Baffo d’oro”) fà uscire delle “birre regionali” (4-5, non ricordo bene; una alla mela, una all’arancia, una credo alla prugna, le altre 1-2 non sò a cosa), pochi giorni fà sono passato in un ipermercato e ho visto parecchie altre birre del genere (birra al limone o al pompelmo rosa, di una marca italiana famosa che però ora non ricordo, e birra alla prugna o al mirtillo di un’altra marca, straniera e meno famosa).
    Anni fà, durante Umbria Jazz, comprai una birra alla ciliegia buonissima: fresca, leggera, il gusto di frutta era perfetto (nè troppo forte nè troppo debole, e senza retrogusti strani); sfortunatamente, un pò perchè ero distratto un pò perchè avevo già bevuto, non riesco assolutamente a ricordarne il nome.
    Negli anni successivi ho trovato un’altro paio di birre alla ciliegia, ma nessuna così buona… è il motivo per cui al momento non sono molto convinto di provare altre birre alla frutta.

  9. hai mai provato IL BEVI E BRINDA??? TROVATO A SAN BARTOLOMEO IMPERIA… 5 EURO UN CARTONE DA 6 LITROZZI

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